Giovedì grasso, aria frizzante e cielo soleggiato, caffè inaspettato con un’amica che vedo troppo poco…oggi la vita mi sorride (e un po’ me lo sentivo stamattina quando ho scelto i calzetti a righe rosa)
La vita invece ad un certo punto smette di sorridere al protagonista di questo appassionante e devastante libro di Joshua Ferris: Tim è un avvocato di successo, ha una moglie che lo ama profondamente, una figlia adolescente e una bella casa in periferia, una vita lineare e soddisfacente. La borghese tranquillità della sua esistenza viene però stravolta da una malattia sconosciuta ed incomprensibile: le gambe di Tim prendono il controllo del suo corpo e lo costringono a camminare senza meta fino a farlo crollare esausto a chilometri dal punto di partenza, spesso in luoghi a lui stesso ignoti. Il mondo medico è diviso di fronte alla stranezza dei sintomi ed un grande dibattito si apre fra chi li associa a cause prettamente fisiologiche e chi invece sostiene che abbiano un fondamento psicologico: corpo o mente diventa il grosso dilemma di Tim, il quale in fondo continua a sperare che qualcuno riesca a dimostrare al mondo, alla sua famiglia e soprattutto a lui che non è diventato pazzo. Tim resiste alla malattia finchè può fingere ancora un’apparente normalità, ma finisce col cedere al suo sconosciuto male che rende prigionieri sia il corpo che la mente.
Ho letto alcune pagine di questo romanzo sorprendendomi dell’angoscia che mi trasmetteva: l’incapacità di distinguere un confine fra il potere della mente e quello del corpo e l’istinto lacerante a cercare una via di fuga (a che cosa?) accompagnano il lettore in un indefinibile percorso di distruzione fisica e psicologica. Tuttavia una lieve speranza, l’unica, è affidata alla famiglia che accompagna Tim nella sua battaglia e non smette di amarlo nemmeno quando ha oltrepassato il limite, quella donna profondamente amata che è l’unica spinta a cercare in qualche modo di ingannare il male che lo affligge e quella famiglia il cui ricordo conserva in una foto, unico segno di quel legame da cui è stato costretto a scappare.
“Quella che un tempo chiamavano anima. Quello che un tempo chiamavano spirito. Indivisibile, completa, quella cosa fatta di mente, separata dal corpo. Credva di averla, quella cosa: un’anima, uno spirito, una natura, un’essenza. Credeva che la sua mente ne fosse una prova.” Joshua Ferris
Unica nota negativa a mio parere: talvolta alcune pagine eccessivamente accurate nelle descrizioni, ma in fondo esiste la possibilità di appellarsi al diritto del lettore di saltare le pagine laddove la noia prevalga…
Joshua Ferris – Non conosco il tuo nome – Neri Pozza edizioni
Ciao! …che sorpresa…sai che mi piace davvero tanto il tuo blogghino?! A presto! 🙂
PS: …e grazie per la recensione di questo libro!
Ciao e benvenuta! Ho fatto un giro dalle tue parti: mi piacciono molto le tue foto! A presto 🙂
Sono contrario all’applicazione di questo diritto del lettore…è come usare lo scorrimento veloce in un film: come fai ad essere sicuro di non perderti un pezzo importante?
Vero!
Leopardi vedeva nella noia l’esperienza della nullità di tutto ciò che è: “Or che cos’è la noia?” si chiedeva. Nessun male né dolore particolare ma la semplice vita pienamente sentita, provata, conosciuta, pienamente presente all’individuo ed occupantelo. Allora, la noia ci spinge a cerare un mezzo più solido per uscirne…In alto, a sinistra. Per esempio!
sospettavo che non saresti stato d’accordo…
Massì dai, facciamo uno sforzo e rendiamo onore all’autore anche se ogni tanto perde un colpo…
http://allegriadinubifragi.wordpress.com/
si si non volevo invitare alla lettura a intermittenza! Mi sono solo permessa ogni tanto di scorrere veloce su qualche paragrafo…;-)